Michele Iorio è stato condannato. Un anno e sei mesi di reclusione per abuso d’ufficio. La sentenza nella tarda serata. Il presidente della Regione era finito alla sbarra per due consulenze affidate dalla sua giunta alla società Bain & Company per la quale lavora il figlio Davide. Secondo l’accusa quegli incarichi furono affidati per favorire la carriera del figlio nella società di consulenza.
La sentenza è stata emessa dai giudici del tribunale di Campobasso al termine di un lungo dibattimento. Ci sono volute circa due ore di camera di consiglio per la formulazione del verdetto. I giudici hanno accolto le richieste del pubblico ministero, Fabio Papa, che aveva chiesto per l’appunto un anno e sei mesi di reclusione. Il dispositivo è stato letto poco dopo le 22,30.
Nella requisitoria il sostituto procuratore aveva insistito sulla inutilità delle consulenze affidate alla Bain & Company, evidenziando, tra l’altro, che anche le modalità di affidamento, senza almeno una comparazione con le offerte di altre società, dimostrano che c’era la volontà da parte del presidente della Regione di favorire la società milanese.
Il rinvio a giudizio era stato disposto dal gup Gianni Falcione il 23 settembre del 2009. L’inchiesta della Procura che ha portato Iorio alla sbarra ha riguardato l’affidamento nel 2003 da parte della giunta regionale di due consulenze alla Bain & Company, la società presso la quale lavora il figlio Davide che, secondo l’accusa, avrebbe fatto carriera proprio grazie alle consulenze affidate da suo padre alla società in questione, una riguardante la riorganizzazione della sanità regionale e l’altra la realizzazione dell’autostrada Termoli-San Vittore.
Il gup aveva accolto solo parzialmente le richieste del pubblico ministero, Fabio Papa, che aveva chiesto il rinvio a giudizio anche per il più grave reato di concussione che prevede un massimo di pena di 12 anni di reclusione.
Per questo reato il gup ha emesso sentenza di non luogo a procedere, perchè il fatto non sussiste. Era rimasta in piedi, dunque, l’accusa, comunque grave, di abuso d’ufficio.
Il dibattimento è iniziato in tribunale il 26 gennaio 2010. Nell’udienza del 7 luglio 2010 erano stati ascoltati come testimoni quattro ex assessori regionali, presenti in giunta all’epoca delle delibere finite sotto accusa per le consulenze alla “Bain & Company”, Antonio Chieffo, Rosario De Matteis, Antonino Sozio e Pio Romano che hanno nella sostanza confermato che la proposta di affidare le consulenze alla società milanese fu formulata direttamente da Iorio e che loro, fino a quel momento, ignoravano sia l’esistenza della “Bain & Company” sia il fatto che per questa società multinazionale lavorasse l’ultimo figlio di Iorio, Davide. Qualcuno, come Romano, ha anche affermato candidamente che se fosse stato a conoscenza del ruolo di Iorio junior nella società avrebbe agito diversamente.
Successivamente sono stati ascoltati altri due ex assessori, vale a dire Michele Picciano e Gianfranco Vitagliano. “Nessun testimone – ha detto Papa – è stato in grado di dire cosa ha fatto la Bain & Company per la Regione Molise”.
Papa ha anche puntato sul fatto che la giunta regionale prima ha affidato gli incarichi di consulenza e soltanto successivamente ha motivato tale affidamento ad un soggetto esterno con l’assenza di professionalità interne alla Regione in grado di svolgere quel lavoro.
Soddisfatto naturalmente il pubblico ministero, che ha visto accolte dal collegio, presieduto dal giudice Russo, le sue ipotesi accusatorie. Ipotesi condivise dall’avvocato di parte civile, Fabio Del Vecchio, che rappresentava il Codacons, l’associazione dei consumatori a cui il tribunale ha riconosciuto un risarcimento danni che dovrà essere però quantificato in separata sede.
Il difensore di Iorio, l’avvocato Arturo Messere, aveva chiesto, nella sua lunga ed appassionata arringa, l’assoluzione del presidente perché il fatto non costituisce reato. Messere ha annunciato ricorso in Appello. Iorio è stato in aula fino al momento in cui il collegio giudicante si è ritirato in camera di consiglio.
Dopo aver stretto la mano al pubblico ministero, ha abbandonato il palazzo di giustizia di Campobasso. Ma nessun cameraman ha potuto riprenderlo, nessuna foto è stata scattata al presidente in tribunale perché lui, l’imputato, ha chiesto di non essere né ripreso né fotografato.
Il tribunale lo ha condannato anche al pagamento delle spese processuali e all’interdizione dai pubblici uffici per il periodo corrispondente alla pena comminata, cioè un anno e mezzo.
La pena, naturalmente, è sospesa. Il processo giunge dunque alla sentenza di primo grado dopo diverse peripezie. Il dibattimento doveva arrivare a conclusione già nel mese di aprile dello scorso anno, ma nell’udienza fissata per la sentenza, quella del 6 aprile, i giudici non avevano potuto deliberare perché l’avvocato difensore di Iorio non aveva dato il consenso alla lettura degli atti processuali chiedendo invece la novazione del processo a causa del cambio della composizione del collegio giudicante dopo che il presidente dottor Iapaolo era andato in pensione.
Praticamente il processo è dovuto ripartire daccapo facendo slittare i tempi della sentenza e avvicinando invece i termini per la prescrizione.
E’ stato infatti necessario riascoltare tutti i testimoni.
Fonte : Altromolise.it