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La povertà in Italia continua a crescere: entrarci è facile, per uscirne ci vogliono 5 generazioni

Oggi un povero su 4 ha meno di 18 anni e un italiano su 10 è in povertà assoluta. Il rapporto Caritas “L’anello debole”. Ci sono molte povertà (allarmante tra i giovani) e una mobilità intergenerazionale bassa

admin by admin
30 Novembre 2022
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La povertà in Italia continua a crescere: entrarci è facile, per uscirne ci vogliono 5 generazioni
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ROMA – A distanza di oltre venticinque anni dalla prima edizione, è stato presentato a Roma il nuovo Rapporto su povertà ed esclusione sociale di Caritas Italiana dal titolo “L’anello debole”. La ricerca è stata condotta sul territorio, con interviste ai beneficiari dei servizi Caritas e alle operatrici e operatori che li forniscono.

5,6 milioni di poveri assoluti. I dati Istat parlano di 5,6 milioni di poveri assoluti in Italia, un dato raddoppiato rispetto al 2011. Il 2021 non ha portato quella ripartenza sperata, che è stata limitata ad alcune aree (il nord-ovest) e poche categorie sociali. L’indagine di Caritas restituisce l’immagine di molte povertà, una mobilità intergenerazionale bassa e soprattutto una crescita allarmante di povertà tra i giovanissimi. Si osservano tre principali categorie fragili: i minori, i lavoratori poveri e gli stranieri.

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Quadro generale. Con circa 2800 centri d’ascolto e un milione e mezzo di interventi di sostegno effettuati nel 2021, Caritas ha potuto realizzare un report ragionato e approfondito sul fenomeno complesso della povertà. Le richieste ai servizi Caritas sono aumentate del 7,7% e tra le persone assistite ci sono molti lavoratori e lavoratrici, il 23%. Ci sono alcune differenze regionali, ma il dato è l’aumento delle situazioni di fragilità e soprattutto la difficoltà a uscirne. Secondo ricerche europee, in Italia si esce dalla povertà alla quinta generazione, un dato di poco peggiore della media OSCE che è di 4,5.

Povertà lavorativa. Nel 2021 Caritas ha raggiunto oltre 227mila persone. “È come se una città grande come Messina o Padova si rivolgesse per intero alla Caritas”, commenta la ricercatrice Federica de Lauso. Il profilo dei beneficiari è questo: età media di 46, coniugato e con figli minorenni. Nel nord-ovest c’è una prevalenza di uomini stranieri, mentre al sud sono le donne a essere in difficoltà. “Ma un quarto di queste persone ha un lavoro”, osserva la ricercatrice. La povertà lavorativa è un fenomeno che riguarda tutta l’area europea, e già nel 2019 colpiva il 10% di lavoratori e lavoratrici in tutta Europa.

Tante povertà. La povertà ha molte sfaccettature. “Per l’80% si tratta certamente di povertà economica, di problemi di occupazione e abitativi. Abbiamo incontrato circa 23mila persone senza fissa dimora. Ma ci sono anche persone che hanno difficoltà a mantenere la propria abitazione, ad affrontare le spese…”  E poi c’è povertà legata ad altri fattori: “Per esempio un lutto, un divorzio possono cambiare lo stato economico. Anche i problemi di salute sono cresciuti parecchio, i disagi psicologici sono in grande aumento”. E in effetti solo per il 45% la fragilità riguarda un solo ambito. Per la maggior parte degli intervistati, gli ambiti di bisogno sono due o più.

Bassa mobilità intergenerazionale. E si arriva alla bassa, anzi bassissima mobilità intergenerazionale: oggi rispetto a vent’anni fa è diminuita molto e favorisce chi proviene da classi medie. Secondo diverse statistiche, siamo gli ultimi in Europa. Dal rapporto emerge che questo tipo di povertà riguarda il 59% delle persone, con picchi di 65% nelle Isole e al Centro. Molto ha a che fare con l’istruzione, che rappresenta il primo elemento di mobilità sociale.

Istruzione bloccata. Il livello di istruzione dei genitori infatti influisce moltissimo sulla condizione dei figli. Circa il 60% dei beneficiari Caritas ha una licenza di scuola media inferiore ed è figlio di persone con licenza elementare: c’è stato un miglioramento di status ma molto contenuto. Tra coloro nati in una famiglia senza alcun tipo di istruzione quasi il 30% si è fermato alla licenza elementare. Al contrario, un figlio di laureati su tre completa un percorso universitario.

Disillusi e inadeguati. Sempre riguardo all’istruzione, nelle interviste sono emerse situazioni di disillusione, in cui non si è potuto proseguire gli studi per problemi economici e per pressioni familiari. Per esempio Michela voleva fare la cuoca ma ora ha 38 anni e una figlia; ogni tanto ci pensa, dice, ma ha troppe cose per la testa. Ci sono anche gli inadeguati, coloro con problemi legati agli insuccessi scolastici. Spesso sono persone con problemi dell’apprendimento, una situazione che si tramanda. Come per Simone: lui aveva molti problemi a scuola ed è così anche per i suoi 3 figli. Per quanto riguarda il lavoro, un figlio su cinque svolge la stessa professione del padre mentre il 43% è vittima di “mobilità discendente”. Oltre un terzo ha sperimentato mobilità ascendente, ma non trova un lavoro adeguato agli studi.

Una gabbia con tante sbarre. Le testimonianze degli operatori Caritas aiutano a capire la percezione della povertà intergenerazionale. “La descrivono come qualcosa di qualcosa da cui non si può uscire, una gabbia”, racconta la ricercatrice Vera Pellegrino. “È un fenomeno complesso composto da elementi sociali come povertà educativa, opportunità diseguali, quartieri-ghetto, ed elementi soggettivi come bassa autostima, stigma sociale, inconsapevolezza”. Insomma, la povertà è ereditaria nella misura in cui non esistono solide condizioni esterne di affrancamento da essa. Una condizione che contribuisce a colpevolizzare il singolo, scaricando sulle sue spalle colpe troppo pesanti da sopportare.

Spezzare la catena. Come si spezza allora questa catena? Ascolto, tempo, comunità e opportunità sono parole chiave. Non sono solo le questioni materiali, molto spesso l’isolamento sociale e la mancanza di fiducia portano all’immobilismo e alimentano una spirale discendente. Dare una possibilità in questo caso significa anche solo accogliere, ascoltare, permettere di mettersi al servizio degli altri con il volontariato formativo. “C’è bisogno di speranza creativa”, conclude Pellegrino. Oltre agli interventi materiali, con donazioni di cibo e vestiario, la Caritas effettua moltissima attività di ascolto, relazione e accompagnamento. “Meno quantificabile in termini monetari ma è la fetta più ampia di attività svolta nei territori. E aiutiamo le persone a recepire i sussidi cui hanno diritto”.

Uno strumento importante. Il Reddito di Cittadinanza infatti finora è stato attivato da 4,7 milioni di persone e raggiunge solo il 44% dei poveri assoluti. “Accanto alla componente economica dell’aiuto vanno garantiti adeguati processi di inclusione sociale” che sono bloccati da “una serie di vincoli amministrativi e di gestione”, si legge. Tra le proposte Caritas, il potenziamento dei servizi comunali e un maggiore coordinamento delle azioni amministrative. E a proposito delle proposte di abolizione di questa misura di assistenza si esprime il commento del Direttore della Caritas Marco Pagniello: “Noi possiamo prenderci la responsabilità di essere di stimolo per le istituzioni, da diverso tempo diciamo che il RDC è stato utile per molte persone. Ci saremo per ricordare che c’è bisogno di un reddito per chi non può lavorare e soddisfare i propri bisogni”.  Il presidente della Caritas italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, commenta che “le politiche sociale inclusive per i poveri devono essere fatte con i poveri, che devono diventare un soggetto dell’azione”. Per quanto riguarda l’impegno delle istituzioni, “La politica deve essere garante di diritti umani, non esiste solo la logica di mercato”, conclude.

fonte: https://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2022/10/19/news/la_poverta_in_italia_continua_a_crescere_entrarci_e_facile_uscirne_e_difficilissimo-370703081/#:~:text=I%20dati%20Istat%20parlano%20di,ovest)%20e%20poche%20categorie%20sociali.

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