Ancora una volta il meccanismo è lo stesso.
Abbiamo potuto constatare che in questi casi nessuno ne esce con le mani pulite, gli accordi seguono pedissequamente le procedure adottate per le chiusure avute al nucleo industriale di Pozzilli.
Si comincia con il classico fermo della produzione per mancanza di commesse, i mesi passano e le retribuzioni tardano, il sindacato si fa portatore del malcontento dei lavoratori e si arriva al classico sciopero inutile davanti ai cancelli.
Da questo momento in poi inizia quello che in gergo viene chiamato “il gioco delle tre carte”, il sindacato interpella l’azienda che a sua volta si rivolge alla Regione.
L’obiettivo è semplice ed è puramente strategico, come nel commercio l’azienda punta al ribasso per concedere in fine ciò che vuole.
Chiusura e 700 dipendenti a casa, questo in teoria.
La pratica sarà un “accordo” con il sindacato e la ripesa dei lavori con personale dimezzato, il restante andrà in cassa integrazione con qualche accordo straordinario fatto con la Regione.
Una manovra alla Marchionne insomma, logicamente in versione ridotta, ma pur sempre redditizia.
Quello che chiedono i lavoratori è proprio quello da evitare.
Riunire tutte le parti interessate intorno ad un tavolo è l’errore più grande che può essere fatto.
Non è difficile trovare casi in cui il sindacato si è dimostrato molto accondiscendente alle proposte dell’azienda, giustificando questa debolezza con la classica “abbiamo salvato il salvabile”.
Non voglio esprimermi sulla motivazione, ma ad oggi il sindacato ha sempre meno forza contrattuale.
Basti pensare che questo primo accordo, che rappresenta una vittoria per l’azienda, è l’inizio di un cammino che porterà ad una graduale chiusura.
Insomma se togliamo il gelato al bambino è molto prevedibile che egli piangerà, meglio quindi essere graduali e attendere che lo stesso si sciolga e che il bimbo possa farsene una ragione.
La situazione è critica, ma abbiamo tutto il tempo per seguire i risvolti di questa classica chiusura all’Italiana.