Alle 11.30 di oggi il presidente del tribunale di Isernia, Vincenzo di Giacomo, ha chiuso il capitolo del crollo del muro in piazza castello di Venafro che aveva tenuto banco sui principali mezzi di informazione locali ed ha assolto l’arch. Francesco Valente e i titolari dell’impresa Angela Crolla e Massimo Volpe perché il fatto non sussiste.
La vicenda giudiziaria partiva da un episodio risalente al 2010, quando si verificò il crollo di un muro all’interno del cantiere dei lavori di risistemazione della piazza del Castello, di cui il Valente era direttore dei lavori e responsabile del procedimento e l’impresa CPS (facente capo a Crolla e Volpe) esecutrice dei lavori.
La difesa degli imputati – sostenuta per l’architetto da suo figlio, l’avv. Mario Valente, e per l’impresa dall’avv. Fulvio Ciafrei – da sempre aveva sostenuto l’estraneità degli imputati ai fatti.
In una prima fase il fascicolo è stato gestito dal giudice Elena Quaranta che però, al momento di pronunciare la sentenza, si era trovata nell’impossibilità di emettere un verdetto per l’assoluta mancanza di elementi tecnici. Conseguentemente il giudice aveva nominato un perito, l’ing. Maurizio De Vincenzi, per far luce sulle cause del crollo.
Il fascicolo è poi passato nelle mani del presidente Di Giacomo, che ha acquisito i risultati della perizia, in cui si dava piena ragione alle tesi difensive, e pronunciato la piena assoluzione degli imputati per insussistenza del fatto.
La vicenda ebbe molta risonanza mediatica soprattutto per i comportamenti dei titolari della pizzeria adiacente al castello che, non soddisfatti dell’esecuzione dei lavori (poi certificati dalla soprintendenza come corretti) con i gesti più plateali – minacce di darsi fuoco con taniche di benzina, ostruzione mediante incatenamento –, avevano determinato ripetute interruzioni.
Secondo i difensori degli imputati proprio il titolare della pizzeria ha determinato il crollo del muro poiché, come è emerso in dibattimento con tanto di prova fotografica e numerose testimonianze, il gestore aveva gettato dietro il famigerato muretto un gran quantitativo di terreno vegetale con una carriola, arrivando così a causare lo spanciamento e il crollo del manufatto. I suoi reiterati comportamenti ostruzionistici, secondo l’avvocato Valente, avevano impedito una concreta vigilanza del manufatto, che ha subìto la tragica sorte del crollo, salvo poi venire ricostruito a spese della cittadinanza e con il paradosso di un processo in cui il gestore aveva presentato anche il conto spese e l’architetto Valente sedeva sul banco degli imputati.
Questo il commento a caldo dell’avv. Mario Valente: “oggi recuperiamo una verità storica che è bene che resti agli atti. Il crollo di quel muro non è stato causato dall’arch. Valente o dalla ditta ma da di chi ha avuto anche il coraggio di chiedere i danni, salvo poi far perdere del tutto le proprie tracce assentandosi dalle ultime udienze e quindi revocando implicitamente la costituzione di parte civile. Adesso staremo a vedere cosa succederà a questa persona, che per i suoi comportamenti è stato raggiunto da tre procedimenti penali: per occupazione abusiva del cantiere, per interruzione di pubblico servizio e per abuso edilizio”.
Anche nei confronti del comune di Venafro non mancano le critiche: “Il comune di Venafro aveva dato piena fiducia all’architetto Valente e finchè tutto procedeva bene faceva vanto e sfoggio dell’opera. Dopo il crollo – continua il legale – con troppa frettolosità ha puntato il dito e voltato le spalle al professionista, arrivando persino a chiedere i danni in sede penale. Il paradosso è che se si è sfiorata la tragedia è dipeso solo da un atto, che ho definito sconsiderato, del sindaco dell’epoca, che con provvedimento monocratico (ossia senza sostegno di giunta e consiglio) aveva riaperto la rampa al pubblico mentre i lavori erano in corso e appena due giorni dopo le dimissioni dell’arch. Valente, che a tanto era arrivato stanco degli abusi dei titolari della pizzeria. In realtà l’Ente e i cittadini di Venafro oggi devono gioire per questa assoluzione, perché è stato dimostrato che il direttore dei lavori meritava la fiducia in precedenza accordata”.